
La bellezza che uccide-Migjeni
Sono abbozzi, tracce, brandelli, graffi, questi racconti di Migjeni… poche parole, molte non dette, come quelle che non dicono il turbinio dei sensi di una ragazza di diciassette anni, lo strazio del dolore di una madre tagliata in due come una pietra; come non dicono la resistenza della montagna, il ritorno dell’inverno, la tortura divina, l’inesorabilità della rivoluzione. Parole che non dicono nulla di tutto questo perché, se lo dicessero, la verità alla quale esse stesse assistono si scoprirebbe come menzogna; dalla prefazione di Raffaele De Giorgi.
La bellezza che uccide, in uscita per Besa Muci Editore, è un’antologia di racconti del poeta e scrittore albanese Millosh Gjergj Nikolla, in arte Migjeni. Nato a Scutari nel 1911, studiò nella locale scuola serba e successivamente nel Seminario ortodosso di St. John a Monastir, Bitola, odierna Macedonia del Nord. Nel 1933 Migjeni fu poi assunto come insegnante di albanese e iniziò a scrivere opere in prosa e in versi. Morì nel 1938, appena ventisettenne, a Torre Pellice, in provincia di Torino, dove stava curando una tubercolosi. Il libro prende il titolo da uno dei più toccanti racconti contenuti nell’antologia (p.75). L’opera completa si trova nell’edizione Vepra 1-4 (Opere 1-4) pubblicata a Prishtina nel 1980, ed è stata tradotta in diverse lingue. La versione italiana è opera della traduttrice Adriana Prizreni.
Non è immediatamente coinvolgente, il testo di Migjeni: la sintassi rigida ed elementare della lingua utilizzata dallo scrittore -il ghego, sottogruppo dell’albanese parlato nel nord dell’Albania, in Kosovo e in Montenegro-, le righe brevi, le poche parole, il linguaggio essenziale scorrono tra le pagine senza travolgere il lettore. Basta sfogliare i primi racconti, però, per essere sopraffatti da questa arcaica semplicità e, d’un tratto, catapultati, grazie proprio al linguaggio così duro ed essenziale, in un mondo antico e lontano, dove si intrecciano pezzi di vita vissuta, scene di quotidianità, momenti di sofferenza e di dolore.
Pagina dopo pagina ci si allontana dal presente e si viene trasportati in una sorta di dimensione parallela che conduce il lettore tra le dure montagne del nord Albania, campi incontaminati, città percorse da crudeli borghesi e poveri mendicanti. Le parole dello scrittore, così secche e concise, consentono di distinguere in maniera profonda la brutalità dell’inverno, il gelo della morte, l’aridità della terra, la solitudine delle montagne, l’inferno della fame, la violenza della miseria e della sofferenza. Ma, al tempo stesso, anche la bellezza della natura, di un fiore, di una notte, di un colore nella loro semplicità.
<<Della pietà degli spietati visse il piccolo mendicante. Sulle strade sporche, sulle soglie dure delle porte, tra fedi menzognere si srotolò la sua vita. Ma un giorno, quando la pietà del sole si esaurì, nel suo petto egli sentì la fitta di un nuovo dolore: che del sacrificio della miseria si nutre l’odio. E lui -ieri piccolo mendicante, oggi, però, qualcos’altro- come un vecchio Vendicatore una parola grave da dettare al mondo pensava… Si squarciò la gola… per cacciare la parola che la rabbia aveva soffocato e che gli moriva sulla lingua… Sconvolto restò fermo e là dove le strade si incrociano… le ruote delle macchine, che sfrecciando lo travolsero, lo fecero tacere>> (pp.37-8).
I protagonisti di questi brevi racconti sono bambini, prostitute, madri, giovani donne, uomini soli le cui vite sono caratterizzate da dolore e miseria, ma anche da momenti di felicità e passioni. Racconto dopo racconto, al lettore sembra quasi di percepire sulla propria pelle le sensazioni che vivono questi personaggi. Di immedesimarsi nella sofferenza e nella gioia di queste anime in lotta nate in una parte di mondo, quella nord albanese della prima metà del Novecento, dura e ingiusta, contraddistinta da secoli di oppressione e sfruttamento, dominata da stranieri ed élites autoctone asservite agli occupanti, schiacciata dalle stratificazioni di culture, caste e costumi differenti.
<<Qui, nel nostro Paese, non c’è l’umanità, non c’è l’uomo d’oggi. C’è la montagna, c’è la pietra aspra e pungente, c’è la perenne resistenza del passato, il ricordo del suo splendore arcaico, la memoria pietrificata, ci sono i fossili dei nostri costumi, minacciosi e fissi come le montagne. E il mostro è la fame, la miserie: eterne, come il tempo. Qui, nel nostro Paese, il tempo non corre, il tempo è eterno come le montagne, si muove con il giorno e la notte e poi ritorna e si posa sulla terra con il giorno e la notte; nel mio paese il sole sorride agli uomini, gli uomini riscaldano le bestie, la natura primaverile sorride e si sente appagata di aver prodotto ciliegie rosse e bambini miserabili… Nel nostro Paese c’è la bellezza che uccide>> (p.19).
Chi è Besa Muci Editore
Besa Muci Editore nasce nel 1995 a Nardò (LE) con l’attenzione rivolta a quegli ambiti letterari da sempre penalizzati dal grande circuito editoriale: il travaglio dei Balcani, il crogiolo multietnico del Mediterraneo, la solarità transnazionale del mondo ispanico dall’Europa alle Americhe, oltre che le proposte letterarie innovative italiane spesso ignorate dai lettori. La produzione di Besa è orientata verso un rigoroso rispetto del pubblico: le opere straniere sono tutte tradotte dalle lingue originali per far sì che il lettore italiano fruisca nel modo più diretto dei valori espressivi anche di testi provenienti dalle aree linguistiche meno frequentate. In questi anni Besa Muci ha pubblicato -nella collana Passage– numerosi testi di autori balcanici e, grazie al fondatore Livio Muci, esperto di letteratura e storia dei Balcani, è diventata un vero e proprio punto di riferimento per i cultori del mondo illirico in particolare e balcanico in generale.
La bellezza che uccide. Migjeni, Besa Muci Editore, 2021
*Il libro è un dono dell’editore
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